La filosofia della natura di Giordano Bruno

Giordano Bruno nasce a Nola nel 1548. A diciotto anni entra nell'ordine dei domenicani di Napoli, dove studia per vari anni la filosofia e la teologia scolastica. Nel 1576, già sospettato di eresia per la sua indipendenza di pensiero e la sua intolleranza ai dogmi, fugge da Napoli e comincia una lunga peregrinazione per l'Italia. Nel 1579 è a Ginevra, poi a Parigi nel 1581, dove la sua sintesi filosofica raggiunge una prima formulazione di stampo neoplatonico. Con questo bagaglio di idee Bruno giunge in Inghilterra. Nel 1585 lascia Londra, per recarsi a Parigi, Praga e poi Venezia, dove viene incarcerato nel 1592 per ordine del tribunale dell'Inquisizione. All'arresto segue il processo, in cui il filosofo espone la propria difesa; nel 1593 viene però trasferito a Roma, dove l'iter giudiziario termina con la condanna al rogo eseguita il 17 febbraio 1600.

Egli fu il principale testimone dell'amore per la natura che rappresenta il sentimento fondamentale del Rinascimento, e afferma che l'universo è uno spazio infinito, costituito da infiniti mondi: infatti Dio è il principio primo infinito da cui non può discendere che un effetto infinito. Bruno sostiene inoltre che Dio è immanente nella natura, in quanto costituisce l'anima del cosmo che informa e plasma la materia, e come tale è conoscibile dall'uomo. All'interno della sua opera "Lo spaccio della bestia trionfante" esalta la tecnica e lo spirito d'iniziativa dell'uomo, infatti secondo il filosofo egli è superiore agli animali perché possiede l'intelletto e le mani, ossia gli strumenti con cui manipola e conosce le cose del mondo in vista del progresso tecnico e scientifico. Infine Bruno indica la natura come il vertice della conoscenza, poiché essa è oggetto dell'ardore conoscitivo dell'uomo, il quale riesce a sottrarsi ai desideri bassi e volgari e scopre di essere egli stesso natura (mito di Atteone).


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